Non uccidere la musica? Il trucco c’è

Non uccidere la musica? Il trucco c’è

«Non uccidere la musica? Il trucco c’è» Articolo apparso su “L’Unità” il 20/10/2008

Ottantun anni, pianista che, ricorda lui stesso, ha suonato su esplicita   commissione di autori «come Boulez ed Elliot Carter musica molto difficile» (e   si potrebbe aggiungere Stravinsky). Di vastissima cultura, Charles Rosen è un   musicologo di calibro internazionale. Vanta studi che spaziano da Haydn e Mozart   a Schoenberg, con contributi sulla letteratura ottocentesca affiliata al   Romanticismo e al Realismo in arte. Risponde dal telefono di New York a   proposito dell’edizione italiana edita da Astrolabio – terzo titolo di una   collana di studi musicali – delle Sonate per pianoforte di Beethoven:   un saggio di 279 pagine a 30 euro, incluso cd con esempi e spiegazioni,   indirizzato a pianisti professionisti e non, a studenti e professori, generato   da suoi concerti e seminari tenuti al Festival Pontino. E se sulla carta è testo   da specialisti, in realtà queste pagine sanno aprire squarci anche ai profani.   Se non altro ricordando come la libertà di interpretare, e quindi di pensiero,   sia sempre essenziale.

Maestro, lei scrive che vuole aiutare a   comprendere le Sonate perché oggi non le comprendiamo bene. Cosa   intende?

«È che noi ascoltiamo in concerti pubblici quel che al   tempo di Beethoven veniva eseguito a casa. Delle sue 32 sonate solo due furono   suonate in pubblico a Vienna mentre lui era in vita. Fa molta differenza suonare   davanti a dieci o duemila persone».

Può fare un esempio in cosa   cambia?

«Prendiamo la Sonata op. 90. Se la si esegue in   una sala da concerto esattamente come la scrisse Beethoven per un bel po’ di   secondi alla fine nessun spettatore applaudirà perché termina così piano che   pochissimi si accorgeranno che il pezzo è finito».

È meglio o   peggio?

«Né l’uno né l’altro, è diverso. Io non dico come si   dovrebbe suonare: parlo dei problemi di cui dovrebbe essere consapevole chi   affronta Beethoven, voglio sollevare domande che non vengono poste».

Lei scrive che per interpretare la musica è indispensabile la   libertà. Nel senso comune questa libertà si accorda al jazz o al rock, mentre si   chiede: se un compositore ha scritto così la partitura com’è possibile suonarla   in modi diversi?

«Mettiamola così: ci sono due modi per uccidere   la tradizione. Uno è suonare senza mutamenti né adattamenti ai tempi moderni:   così la tradizione diventerà mortalmente noiosa e morirà. L’altro è l’opposto:   suoni in qualsiasi modo tu reputi interessante ignorando la storia precedente.   Accade spesso negli allestimenti che “modernizzano” l’opera, dove alla fine   trovi Sigfrido in un motel mentre Brunilde si lava i denti. Vero è che se   allestisci Wagner esattamente come diceva lui diventa antiquariato e   basta».

Bel dilemma. Come se ne esce?

«Il trucco   dei grandi musicisti è capire come quella pagina veniva suonata all’epoca del   compositore e trovare nuove idee e aggiustamenti: così si crea una tensione tra   quel tempo e l’oggi. Devi avere entrambi gli aspetti, se uno manca la musica   muore».

Quali pianisti stima?

«Mi guadagno da   vivere come pianista, mi interessano i colleghi, ma le dico una cosa: non chiedo   mai a un compositore cosa pensa degli altri compositori né a un pianista cosa   pensa dei suoi colleghi».

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