Die Sprech-Maschine

Die Sprech-Maschine

La digitalizzazione della musica non ha cambiato solamente la sua realizzazione e la diffusione (..), ma il concetto della stessa.
Ha modificato – riprogrammato – le orecchie e il gusto: dall’ambito pop fino alla sperimentazione, gli esempi sono innumerevoli.
L’editing, la modifica del suono verso un’entità verosimile, più estetica che sonora, sembra essere diventato virale; con la diffusione di Pro Tools, il rischio è quello della sindrome del collage perfetto.
Un Taglia E Cuci che premia l’esecuzione, finta ma “spettacolare” (ancora tu Debord?), invece dell’empatia generata da un brano riprodotto cercando il momento. Cavalcandolo come surfisti su un’onda.
Con le voci, al di là dell’uso e abuso (triste) di Auto Tune, il discorso diventa ancor più contraddittorio ed estremo.
Si cerca, attraverso il Comping, di colpire l’ascoltatore con l’artefatto: lo strumento emotivo per eccellenza ricostruito, chirurgicamente, nemmeno fosse la Sprech-Maschine di Kempelen (un genio).
Forse perchè una delle fascinazioni del postmoderno è la simulazione; in ogni campo dello scibile umano, citando Baudrillard, il vero deve assorbire tutta l’energia del falso.
I cantanti da karaoke, pure bravi, i robottini che piangono o sorridono da uno schermo luminoso, esemplificano bene questa perversione.
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Eppure non dovrebbe essere impossibile, in uno studio di registrazione d’inizio millennio, performare al meglio.
Cento (!) esecuzioni* di un brano sono roba da manicomio. Vocalità post mortem.
Non solo il canto, ma soprattutto il canto, ha a che fare con la musicalità. Che va oltre la definizione del vocabolario (“dolcezza, armonia..”) e abbraccia l’ambiente sonoro e il suo senso.
Ludwig_Visconti
Anni fa ne parlammo con Federico Savina, uno dei fonici più importanti nella storia del cinema italiano, che ci raccontò un aneddoto che ridefiniva al meglio l’idea di musicalità.
Lavorava sul “Ludwig” e, in una delle scene in esterno, durante un dialogo tra Helmut Berger e Romy Schneider, accorgendosi della retroazione dei rumori naturali tra gli attori e la musica, decise di escludere quei suoni prima e dopo le voci dei due.
Alla proiezione di prova, davanti all’intero staff, quando giunse quel momento Luchino Visconti se ne accorse subito…
Ecco, Visconti aveva l’orecchio – la musicalità – per comprendere che il (non) silenzio che precede la pronuncia di una frase è importante almeno quanto la sillabazione e la timbrica.
Il respiro, il suo spazio, innanzitutto.
Savina, che da decenni ascolta le immagini della settima arte, dice sempre cose molto interessanti sull’argomento… 
*Nel progetto che uscirà nel 2016, un pezzo è integralmente un “Take One”.
Un altro quasi, eseguito in due tappe – mezz’ora una dall’altra – senza essere stato provato (il testo): assorbito, ascoltando la base – distrattamente ma non troppo – centinaia di volte.
La si canta nella testolina e, quando si è pronti, l’effetto – la percentuale emotiva – è sempre rivelatorio.
Lacaniano.