FACCIALIBRO

FACCIALIBRO

Quando ci fotografano non sappiamo più che faccia fare: le abbiamo consumate tutte.
Baudelaire, uno che aveva ragione anche quando era dalla parte del torto, alle origini della fotografia, scriveva della massificazione della folla che (come un solo Narciso) contemplava la propria immagine sul metallo.
Era in diretta col futuro?
 
 
Il ritratto, ora selfie (parola che richiama la masturbazione), è divenuto un tentativo di rivendicare se stessi al mondo.
Una frustrazione individuale che vibra nello sguardo – distratto – altrui: alla ricerca collettiva di un consenso di qualsiasi tipo.
Roland Barthes definiva quella posa una piccola esperienza di morte, qualcosa che ci trasformava da soggetto in oggetto.
O forse, l’ansia di piacere nasconde l’horror vacui di essere stati snobbati da quel sistema che fingiamo di criticare.
Merce invenduta di un supermercato (sterminato) di facce, opinioni, filmati, canzoni.
 
I manichini di “American Psycho”, rispolverati un quarto di secolo dopo, erano là ad anticipare e attendere il ventunesimo secolo.
Il testo, modificato con una tecnica a metà fra caos e caso, scappa da Bret Easton Ellis per assumere forme inedite.
L’assurdo si canta meglio: libera la voce dalla dittatura del cosiddetto significato.
E’ il suono a giustificare la parola, mai il contrario.