Ci siamo riusciti finalmente.
Abbiamo ancora negli occhi lāentusiasmo di quelli che fanno risuonare le monetine dorate, che fuggono alle Bahamas con il primo incasso netto della serie.
Abbiamo permesso, da poveri idioti quindi perfetti consumatori, che ci trucidassero il giocattolo; portatore (in)sano di inaspettate gioie culturali o, al peggio, di un passatempo sciocco ma consolatorio.
Sto parlando, per i meno svegli, della concezione tutta particolare che ha potuto godere la musica presso svariate generazioni di audiofili dāogni casta e razza sul terzo minerale del sistema solare.
Un rapporto privato con il mezzo, che ĆØ nato grazie alla diffusione industriale del vinile e che ĆØ proseguito anche con il compact disc.
Malgrado questāultimo rappresenti lo stadio intermedio verso la progressiva disintegrazione.
Della musica o del concetto che finora avevamo avuto di essa.
La tecnologia come Attila, come il napalm sulle foreste vietnamite.
Abolisce lāesigenza dellāalta fedeltĆ , lāapplicazione domestica dellāascoltatore, cancella la paziente perlustrazione auditiva di unāopera.
La politica industriale che sta dietro un gingillo come i-pod ĆØ quella di un premeditato sterminio culturale.
Iconoclasta e irriconoscente verso il servizio sociale che svolgono le sette note, ne abolisce il formato logico e naturale.
Per rimpiazzarlo con una eiaculazione precoce in mp3, una macchia ( sƬ, uno spot, pensate italiano quando parlate in inglese, la lingua dei nostri padroni).
Questa e le prossime generazioni ammaestrate come scimmie ad apprendere la musica dai telefonini, dalla tivù, da un calcolatore.
Quindi recisa del suo spazio essenziale: quello onirico, privato, sensuale, catartico.
Viene invece creata una feroce reazione chimica, lāascolto abbinato implacabilmente allāimmagine: di un clip di mtv, di una pubblicitĆ , di un videogioco, di un film.I paradisi promessi? Semplicemente un rito mercantile fondato sulla comunicazione di massa al livello più infantile.
Si fabbricano scientificamente tossicodipendenti del consumo immediato e soprattutto dalla comprensione artistica carente e inadeguata.
Rimangono i fenomeni da baraccone delle corporazioni, con le loro regole fasciste, inevitabili come un plotone di esecuzione in guerra.
Muoiono quasi tutte le pretese artistiche dei āpiccoliā, sempre più ghettizzati e resi innocui anche da strumenti di pseudolibertĆ (in veritĆ di pura impotenza comunicativa) come internet.
Ennesimo Cavallo di Troia dello strapotere tecnologico multinazionale.
Eā un cambiamento epocale che spazza via la vecchia idea dellāarte musicale.
E alla fine della strada rimarrĆ il deserto: unāidentitĆ culturale incerta, il disinteresse massificato, la quasi certezza di buttare nel cesso ( tra non molto) una buona parte di patrimonio artistico, arrivato a noi dopo mille avversitĆ .
Resteranno forse quattro carbonari, alieni alle logiche dei piani di sopra, sopportati con sufficienza da un esercito di plagiati con la playlist delle 1204 canzoni più gettonate.
E pensare che gli anni ottanta parevano cosƬ infami…….
Ah, prima dei saluti e dei baci vi dò il compitino a casa per la prossima volta: ĆØ veramente cosƬ debordante il potere della massoneria sulla āmusica coltaā?
Mi raccomando, Mutismo e rassegnazione.
Anche perchĆØ , come scrisse un tizio inglese, lāignoranza ĆØ forza.
14 Marzo 2005