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“Bello” sembra nella maggior parte delle volte ridotto a sinonimo di inoffensiva gradevolezza, ovvero di un fenomeno che come prima caratteristica abbia la stimolazione (non esagerata) dei nostri sensi e dei nostri sentimenti ma che, essenzialmente, non ci chieda nulla.
Un’idea di “bellezza” (e quindi di arte?) intesa come narcotico, strumento di ottundimento dei sensi e della ragione: una sana (?) evasione dalla realtà che ci aiuti a sopportare (o almeno ad alleggerire) il carico che il tran tran quotidiano pone sulle nostre spalle.
In maniera nemmeno troppo velata però questa posizione ne pone un’altra, ben più insidiosa e distruttiva: non voglio (non riesco?) ad affrontare la realtà e dunque cerco ogni mezzo per fuggire, per evitare di pormi (e di farmi porre) domande troppo impegnative.
Ma la realtà resta lì, monolitica, con la sua dirompente e imprevedibile forza e mi costringe ad affrontarla ogni giorno.
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Con i suoi cammini erratici, con i suoi imprevedibili sviluppi proprio la musica “contemporanea” può rappresentare un’iniziale medicina per cercare di recuperare un vero contatto con la realtà.
La frequentazione dei grandi autori del XX (e del XXI) secolo ci consente di riscoprire la bellezza come rischio, come fattore che unifica la realtà senza tagliarne via nemmeno un pezzo (come potremmo ritenere bello qualcosa di vero solo in “certi momenti”?).
Spesso mi capita di scoprire che sto apportando una resistenza alla vera immedesimazione (ovvero a lasciarmi “prendere” interamente) con quello che sto ascoltando…
…Solo quando accetto la sfida di un’attenzione vera e intera a quel che ho davanti posso iniziare a gustare davvero e a ritrovare una possibile via verso la pienezza.
E riscopro la bellezza proprio là dove tutti mi dicono che non la si può trovare, in quella musica “contemporanea” che, rendendo radicali le domande che tutta l’arte pone, mi costringe a guardarla in faccia, a confrontarmi con i suoi percorsi strani ma affascinanti e con quella continua provocazione che mi permette di non adagiarmi in una sorta di “narcolessia dello spirito”.
Per questo è importante ritrovare il gusto del saper ascoltare, che diventa possibile quando accetto la sfida del coinvolgimento di tutte le mie facoltà (immaginazione, ragione, sentimento) con quello che ho davanti, intuendo nella forma di quello che mi viene proposto un’analogia con la realtà.
Certo, tutto questo richiede fatica, come accade in altri ambiti della vita.
Forse è questo uno dei modi per sfuggire all’ideologia disumana del gradevole?
Luca Belloni
Estratti da “Ricerca della bellezza e ideologia del gradevole”
The Day After Tonality, 2009.
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